Dal PD Toscana un manifesto per una nuova forma partito

Una nuova organizzazione che rispecchia i cambiamenti istituzionali avvenuti con la legge Delrio e le successive normative regionali, un modello “a matrice”, con coordinamenti più ampi in cui si discute delle politiche regionali  altri più piccoli in cui si affrontano le politiche dei servizi; una struttura in grado di coniugare tradizione e innovazione, affiancando alle funzioni classiche del partito nuove forme di partecipazione come tavoli o “focus group” su tematiche specifiche.

Sono le basi del Pd del futuro che col segretario toscano Dario Parrini, abbiamo presentato alla assemblea regionale attraverso il manifesto elaborato dal gruppo di lavoro regionale sulla forma partito. Un documento che vuol rappresentare un contributo alla discussione avviata a livello nazionale sul tema, facendo della Toscana una sorta di “laboratorio politico” di una forma partito moderna e innovativa.

Ecco il testo del documento su cui, ovviamente, aspetto anche le vostre osservazioni.

Premessa

Il Partito Democratico della Toscana vuole aprire una discussione, nelle assemblee e nei circoli, sul nostro modo di stare insieme, sul perché è ancor oggi fondamentale impegnarsi  con passione in un partito. Vogliamo ricercare, a partire dai territori, quel filo rosso che tiene unita la nostra comunità di donne e uomini e pensare ai nuovi passi da percorrere insieme.

La missione del PD  è quella di dare all’Italia una forza politica riformatrice ed europeista che trova le proprie radici nella storia della sinistra italiana e del cattolicesimo democratico, ma insieme le  reinterpreta, pensando al bisogno che abbiamo oggi di integrazione tra culture differenti, al riconoscimento dei nuovi diritti civili e al rispetto dell’ambiente. Solo così possiamo proiettare nel futuro i valori di un partito che ha come obiettivo principale ridurre le disuguaglianze economiche, ma anche di conoscenza, promuovendo la libertà.

Per il nostro partito l’Europa, ancora prima che un’opportunità di sviluppo economico o un vincolo finanziario, è un sistema di valori: l’Europa rappresenta la pace tra i popoli e il valore della libertà. Il sogno degli Stati Uniti d’Europa descritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel Manifesto di Ventotene, oggi significa lavorare tutti insieme, anche tramite il partito socialista europeo, per un’Europa più politica e meno schiava degli indici economici. Il PD, attraverso il partito socialista europeo, deve farsi promotore di politiche pubbliche europee che si occupino di immigrazione, lavoro, sanità, scuola. Più che parlare di un’Europa politica dovremmo iniziare a promuovere un’Europa delle politiche, dalla concretezza dei contenuti delle politiche si può costruire un’Europa politica.

La visione è quella di un partito di governo a vocazione maggioritaria che dialoga con tutti, al proprio interno e con le altre forze sociali, ma poi decide sulla base di quelle che sono le priorità per il bene comune. La vocazione maggioritaria è lo sforzo di parlare a tutto il paese, ma non si riferisce soltanto al dato quantitativo dei voti presi, bensì soprattutto a un salto qualitativo che ci renda protagonisti nella costruzione di una “riforma intellettuale e morale” in una società sempre più complessa e strutturata come una “rete”. La visione maggioritaria vive in una tensione continua tra efficacia delle politiche e qualità della rappresentanza, e per ricoprire una funzione nazionale rafforza la sua azione attraverso la coincidenza di leadership politica e di premiership. Il mantenimento di questo punto è fondamentale perché garantisce la nostra funzione maggioritaria e di governo. Così avviene in tutte le democrazie europee a forma di governo parlamentare senza contare che la storia della sinistra degli ultimi venti anni dimostra che i momenti di maggiore instabilità si sono verificati quando queste due figure non coincidevano.

 

Partito, governo, Istituzioni

Partito, governo e istituzioni sono sempre più interdipendenti. Il sistema istituzionale già a partire dall’elezione diretta dei sindaci e successivamente dei presidenti di Regione, si è andato configurando verso una chiara indicazione di chi deve governare. Anche la legge elettorale nazionale, l’Italicum, insieme alla riforma costituzionale, che supera il bicameralismo perfetto e ridefinisce i rapporti tra Stato e regioni, va nella direzione dell’individuazione di un sicuro vincitore, messo nelle condizioni di governare. Stiamo passando dalla “democrazia consociativa” che abbiamo conosciuto nella così detta “prima Repubblica”, basata sulla rappresentanza proporzionale delle forze politiche in Parlamento, a una “democrazia maggioritaria” nella quale la legittimità conferita dai nostri elettori e cittadini non è legata soltanto alla rappresentanza dei voti, ma anche all’efficacia delle politiche, ai contenuti e alle attese che le cose cambino in meglio con interventi concreti. In una logica che vede il rafforzamento degli organi esecutivi il ruolo del Partito Democratico diventa, anche nella dialettica con le amministrazioni da esso rappresentate, elemento di apertura e integrazione verso la società e promotore di “pensieri lunghi” capaci di elaborare una visione più ampia e lungimirante rispetto alla problematiche amministrative quotidiane.    Con la legge 56/2014 (Delrio) e le successive leggi regionali vengono ridefiniti gli assetti istituzionali, “chi fa che cosa” sui vari livelli di governo. Inizia un percorso di superamento delle province, redistribuendo le funzioni tra Regione e comuni, vengono istituite le città metropolitane e promosse le fusioni e unioni dei comuni. Con la riforma costituzionale devono essere superate le conflittualità tra Stato e regioni sulle materie concorrenti e valorizzato il ruolo del Senato delle autonomie nelle materie regionali e nella valutazione delle politiche. Il Partito Democratico per essere più vicino ai territori, si deve strutturare su più livelli, autonomi e fondati sul principio costituzionale della sussidiarietà. Il partito deve ricercare un equilibrio dinamico tra il principio di sussidiarietà e il principio che attribuisce ad ogni livello la funzione di elaborare le proprie politiche. Deve essere ripensata un organizzazione del partito in corrispondenza ai nuovi assetti istituzionali sui quali si definiscono le politiche. La definizione dei contenuti e l’elaborazione delle politiche devono essere l’anello di congiunzione tra partito, governo e istituzioni. Questo richiede una valorizzazione delle competenze all’interno del PD e insieme la consapevolezza che una leadership forte, politica o amministrativa, e un partito autorevole sono complementari.

 

I nuovi assetti istituzionali regionali

Gli assetti istituzionali attuali vedono il Partito Democratico suddiviso in regionale, provinciale, unioni comunali, circoli. Il PD si pone l’obiettivo di superare la frammentazione e definire quali sono gli ambiti ottimali di discussione sui quali riorganizzare i vari livelli del partito, anche in considerazione che la Delrio supera il livello provinciale, e spinge verso l’aggregazione dei comuni. Inoltre le politiche regionali delineano due livelli determinanti, quello di area vasta per la programmazione dei servizi e quello di zona distretto per l’organizzazione e gestione dei servizi. Su questi due livelli dobbiamo ripensare anche il partito.

Un livello costituito da macro federazioni di area vasta, che inizialmente può essere un coordinamento delle attuali federazioni ricomprese nell’area vasta, dove si discutono le politiche di sviluppo e gli aspetti di indirizzo e valutazione delle politiche regionali; in Toscana è il livello delle 3 nuove aziende USL, l’ambito ottimale della gestione dei servizi di acqua, gas e rifiuti, oltre a essere il livello di discussione delle grandi opere infrastrutturali e del trasporto pubblico, ma anche delle politiche relative alle funzioni che tornano alla regione con il superamento delle provincie (definite dalla legge regionale toscana n.22/2015), agricoltura, ambiente, energia, formazione professionale e alcuni aspetti di governo del territorio.

L’altro livello sul quale si riorganizza il partito, è quello delle relativo alle zone distretto socio sanitarie, questo livello dovrebbe essere l’ambito ottimale anche per le unioni dei comuni. Questo è il livello nel quale si discutono le politiche di gestione, quelle che erogano i servizi: sanitari e sociali sicuramente, ma anche educativi, oltre alle nuove funzioni che arrivano dalla L.R. 22/2015 quindi il turismo, lo sport, la forestazione e gli albi regionali del terzo settore. Fondamentale diventerà anche la discussione a questo livello delle politiche urbanistiche. La riflessione su questo livello del partito considera anche che i comuni come li abbiamo conosciuti fino ad oggi non sono più in grado, da soli, di erogare i servizi, sono troppo piccoli e privi delle necessarie risorse per generare eccellenze ed economie di scala. A questo livello zonale del partito si discuteranno la maggior parte delle politiche che interessano i cittadini ed è anche il livello a patire dal quale si raccolgono e analizzano i bisogni socio-economici dei cittadini e dei territori. Alla discussione degli attuali circoli e delle unioni comunali rimarrà, oltre alla possibilità di rappresentare le proprie riflessioni al livello di zona, le questioni relative al tesseramento, alla selezione della classe dirigente locale e le problematiche che riguardano in primis il proprio comune: viabilità locale, centro storico, specificità dei plessi scolastici etc. Il livello di zona dovrà corrispondere alle zone socio sanitarie, per evitare le operazioni a macchia di leopardo, salvo motivate riorganizzazioni territoriali che comunque dovranno essere deliberate dal partito regionale.

In questa logica viene superato il livello provinciale di organizzazione del PD, salvo per la città metropolitana, che rimane come coordinamento dei segretari di zona, ma senza un assemblea e un direttivo

 

La forma partito: organizzazione, Statuto

I partiti sono e rimangono uno strumento essenziale per la democrazia rappresentativa, non è pensabile una democrazia senza un sistema pluralistico di partiti che possano, come recita l’art. 49 della nostra Costituzione, “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. A questo proposito dobbiamo ricordare che l’Italia è stato tra i primi Paesi che hanno inserito nella propria carta costituzionale una norma dedicata ai partiti politici; e però, purtroppo, il nostro Paese si trova in drammatico e colpevole ritardo nella approvazione di una legge specificamente dedicata ai partiti, una legge che ormai non è più rinviabile. Nel contempo, occorre provvedere ad una complessiva e profonda modifica dei nostri Statuti nazionali e regionali, tale da adeguare le varie forme organizzative e partecipative del nostro partito ai nuovi scenari socio-economici, così profondamente diversi rispetto al contesto in cui nacquero e si svilupparono i moderni partiti di massa, quelli con molti iscritti e con un’identità forte, dotati di un’organizzazione rigidamente gerarchica e con gruppi dirigenti in alcuni casi inamovibili. A tal fine può essere di grande utilità il concetto di governance, secondo il quale l’organizzazione va considerata come una rete in costante apertura con l’esterno. In questa logica, il partito deve proporsi di assumere un ruolo di guida all’interno di un network, cioè di un insieme di nodi o attori interdipendenti, dove si confrontano interessi spesso configgenti. Nel mondo di oggi, la “partigianeria” di un partito politico al passo coi tempi deve essere quindi intesa nel senso di essere “parte” di una rete nella quale l’aggregazione e la partecipazione avvengono non solo e non tanto in base ad una comunanza ideologica, ma anche e soprattutto sulla base di contenuti e obiettivi tali da legare assieme, magari anche soltanto per un tempo determinato, persone della più diversa e varia estrazione sociale, culturale e territoriale.

Si impone ormai un deciso cambio di paradigma sul piano dell’organizzazione: da partito tradizionale basato sulla militanza attiva e di massa, a partito aperto che cambia insieme alla società e valorizza sia gli iscritti che gli elettori, potenziando al massimo quel capitale di relazioni rappresentato dall’albo degli elettori delle primarie. Dobbiamo riconoscere che, nonostante le primarie e i tentativi di apertura, il PD ha ancora oggi un’organizzazione di tipo tradizionale con struttura piramidale. Ebbene, è necessario innestare forme flessibili e orizzontali di sviluppo organizzativo secondo il modello della organizzazione “a matrice”, dove a fianco delle funzioni tradizionali del partito vengono integrati processi orizzontali e trasversali attraverso “tavoli” o focus group presenti ai vari livelli territoriali e gestiti con metodi partecipativi, che si riuniscono in maniera mirata o spontanea su progetti che hanno un obiettivo e un limite temporale. In un organizzazione di questo tipo ci possiamo immaginare che agli iscritti rimangano tutti i compiti relativi all’organizzazione verticale tradizionale, mentre agli elettori, supportati dagli iscritti e dalle strutture del partito, deve essere lasciato il protagonismo sui progetti e sullo sviluppo orizzontale e aperto del partito.

Il ruolo del circolo rimane fondamentale come primo livello organizzativo ed è nostro obiettivo aumentarli, ma, per poter svolgere il proprio compito, deve avere dimensioni aderenti e adeguate al  proprio territorio e capacità politica di ascoltare i  bisogni dei propri cittadini.

L’organizzazione di un partito, nelle democrazie, si basa su un fondamentale principio, il principio di maggioranza: si discute nelle sedi istituzionali o di partito, nelle forme che meglio possono consentire la rappresentanza di tutte le idee, ma successivamente le decisioni, anche quando vengono prese a maggioranza, valgono per tutti. Il principio di maggioranza è quello secondo il quale la volontà dei più deve essere considerata come se fosse la decisione di tutti, quando si tratta di decisioni pubbliche. Il principio di maggioranza è quello che meglio promuove la libertà politica perché rappresenta il miglior accordo tra libertà individuale e volontà collettiva, in quanto sono scontentati i più se, un individuo, oppure una minoranza di individui, impediscono i cambiamenti o comunque le più importanti azioni di governo. Democrazia, nelle istituzioni e nei partiti, significa pluralismo e possibilità di discussione, ma anche efficacia delle decisioni. Il dissenso può essere motivato da ragioni individuali di coscienza o coerenza su determinate materie, ma non può essere legato a cordate che si organizzano come un partito dentro il partito.

 

Comunità e strumenti di partecipazione

La comunità del Pd, la nostra comunità deve essere aperta, inclusiva, basata sulla sul l’idea della reciprocità. Il legame non è una “proprietà”, bensì una mancanza che deve essere reciprocamente compensata, non bastiamo a noi stessi, a maggior ragione se vogliamo cambiare insieme la società. Una comunità partito “vera”, dove gli incarichi sono assegnati attraverso una competizione positiva e sono sempre contendibili. Un partito vero, perché moderno e aperto. Un partito dove gli iscritti, ma ancor più i cittadini/elettori, partecipano attraverso strumenti come le primarie aperte, non solo per scegliere le candidature, ma anche su elementi programmatici, e altri metodi di coinvolgimento.

Il nostro partito non deve insomma essere inteso come un lago chiuso, ma piuttosto come un mare aperto. E dobbiamo andare oltre la discussione sterile su partiti liquidi o solidi. Il PD deve essere ‘semplicemente’ ben organizzato, valorizzando il ruolo degli iscritti e aprendosi all’integrazione con il popolo delle primarie. Di più, dovremmo pensare a un “partito Expo” che sia come un contenitore dove vadano a confluire intelligenze, esperienze e idee, e che sia capace di valorizzarle ed espanderle. Un partito plurale, certo, ma anche unitario nella forza e nella determinazione nel perseguire i suoi obiettivi. Non dobbiamo essere autoreferenziali ma in continuo movimento e attenti alle innovazioni, in modo da assolvere funzioni ben precise e organizzarci come soggetto vivo e al passo coi tempi.

Deve essere valorizzato, nel rispetto delle normative sulla privacy, quel capitale di relazioni che è rappresentato dall’albo degli elettori delle primarie. L’albo degli iscritti deve essere utilizzato per capire cosa pensano quei milioni di persone e da lì elaborare le politiche di partito sui temi di carattere locale e nazionale

Deve essere promossa la partecipazione politica come strumento nuovo di protagonismo ad ogni livello del partito e della vita pubblica e come modalità per ricostruire la connessione tra amministratori e partito, tra elettori e partito, tra iscritti e partito per affermare un ruolo forte sui territori, in maniera particolare, considerando i nuovi assetti istituzionali, del  partito regionale. La partecipazione permette di superare quel ruolo quasi esclusivamente procedurale che da tempo i partiti hanno assunto e dare modo così al Pd di accogliere quello che arriva dalla società in maniera aperta, inclusiva, orizzontale, informale, flessibile.  Il verbo “partecipare” significa prendere parte e essere parte, ovvero occorre far coesistere le forme tradizionali di partecipazione politica con altre modalità non convenzionali, patrimonio del mondo associativo e della cittadinanza attiva. E’ evidente che tutto questo non può prescindere dall’utilizzo sistematico e strutturato della rete e dei social network che sempre più devono diventare luoghi e momenti di confronto, proposta e partecipazione politica.

Il PD si deve impegnare ad organizzare la più ampia partecipazione anche i programmi elettorali e la definizione delle politiche, attraverso laboratori civici, utili anche per monitorare e valutare l’attuazione degli impegni presi.

 

Formazione e selezione delle classi dirigenti

Parlare di formazione politica non significa limitarsi ad una preparazione rivolta a compiti istituzionali, elettivi o fiduciari, ma significa anche preparare personale politico in grado di dedicarsi in competente ed informato al Partito senza automatici sbocchi istituzionali. Un Partito moderno capace di muoversi all’interno delle contraddizioni di una società fluida e post moderna deve rinunciare a qualsiasi tentazione verticistica, senza, però, rinunciare a definire un quadro di regole chiare e condivise alle quali attenersi. Occorre costruire un luogo, un contenitore, fisico ma anche  virtuale, all’interno del quale le intelligenze individuali e collettive si possano mettere  al servizio delle finalità che il partito si pone, selezionando, con metodi democratici e discussi in modo ampio, le giuste ambizioni personali. Senza la costruzione di un autorevole spazio politico, che chiamiamo partito, all’interno del quale gli iscritti e gli elettori possano sentirsi parte di un tutto, è impossibile perseguire lo scopo principale  di dare all’Italia una classe dirigente che garantisca buon governo e giustizia sociale. Le competenze quindi vanno cercate anche e soprattutto fuori di noi e attratte verso il Partito, mettendo in chiaro che si tratta di un luogo aperto e coinvolgente.

All’interno di questa logica la selezione della classe dirigente interna può differenziarsi per i vari livelli del partito anche in modo sostanziale, visti i forti cambiamenti istituzionali già in atto e in via di definizione, si pensi alla dimensione sovra comunale che coinvolge il nuovo assetto istituzionale a valle dell’abolizione delle province e il nuovo Senato federale. Per dare maggiore rilevanza al livello regionale e non sovrapporre le tematiche in discussione, è giusto proporre che la l’elezione del segretario sia distinta dall’elezione del segretario nazionale, sia da un punto di vista temporale, distinguendo i periodi, sia dal punto di vista della modalità di elezione. Se rimane necessario l’utilizzo delle primarie aperte per eleggere il segretario nazionale anche nella sua funzione di candidato alla Presidenza del Consiglio, sembra invece più pertinente, per l’elezione del livello regionale, un coinvolgimento diretto ed esclusivo degli iscritti.

Le primarie, strumento fondativo del Partito Democratico, sono sicuramente indicate per le elezioni a cariche istituzionali monocratiche e non solo, ma non sono un valore in sé, lo diventano quando valorizzano la partecipazione dei cittadini e insieme potenziano il consenso dei nostri candidati.   

 

 

Condividi