La lettera di un migrante che ci deve far riflettere

“Cara mamma, il viaggio via terra è stato duro, ma ancora peggiore è stata la navigazione. L’imbarcazione era piena, eravamo tutti ammassati: uomini, donne, bambini. Per passare il tempo alcuni intonavano i canti della nostra assolata ed arida terra ma la maggior parte temeva di finire i suoi ultimi giorni nel fondo degli abissi; qualcuno diceva che era già successo in passato. Abbiamo trovato burrasca, molti hanno iniziato a pregare, altri urlavano che gli spiriti maligni avevano maledetto quella nave e tutti quelli che c’erano dentro.

Avrei tanto voluto portarti con me, nella terra dei sogni, dove c’è il lavoro, dove c’è ricchezza, dove non c’è la guerra, dove i campi si arano con potenti macchine e gli uomini non si ammazzano per un po’ d’acqua. Ma ora che sono qui sono contento che tu non sia venuta. Non voglio mentirti madre, temo di essere sbarcato nella terra sbagliata, qui le strade sono piene di insegne luccicanti e musica, ma in realtà tutto è duro, difficile, violento.

Appena siamo arrivati ci hanno fatto sedere a terra, poi ci hanno chiesto i documenti (molti di noi non li avevano e sono stati duramente interrogati), uomini armati si sono piazzati davanti a noi, ci controllavano per evitare che qualcuno di noi tentasse la fuga. Poi ci hanno fatto alzare e, uno ad uno, ci hanno sottoposto a delle visite mediche. Alcuni di noi sono rimasti nella stanza del dottore troppo a lungo, erano debilitati, ed è stato come se dentro di me sentissi che alcune di queste persone in realtà quell’infermeria non l’avrebbero mai più abbandonata. Nei miei incubi sento ancora le loro voci. Per giorni sono stato chiuso in questo centro di permanenza su un isolotto in mezzo all’acqua”.

Questo è un passo di una la lettera scritta da un emigrante italiano in America all’inizio del 1900. La sua tremenda attualità deve farci riflettere. E tenerci lontani dalle speculazioni di chi, sul dolore e sulla morte, vuole solo giocare la propria campagna elettorale.

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